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Nel nostro paese il sentimento razzista si esprime ormai in espliciti e reiterati gesti di pura violenza da parte di singoli e gruppi contro cose e persone. Questi gesti sono stati preceduti dal lento covare di un silenzioso rancore. Ma con il tempo il silenzio è esploso in un liberatorio vociare di gruppi che hanno coinvolto intere comunità. Il lento lavorio delle parole razziste e la loro messa in comunicazione, non solo nei grandi circuiti dei media ma soprattutto in quelli del minuto transito quotidiano di massa (i bar, i mezzi pubblici di trasporto), ha creato i presupposti delle pratiche razziste. Ma la tesi di questo libro è molto più radicale e scandalosa. Accanto a un linguaggio razzista ignorante, esplicitamente sguaiato e volgare, ve ne è un altro più pericoloso ed efficace, quello colto e raffinato proprio di quegli intellettuali che fanno sfoggio di convinta democraticità. Nella loro produzione di linguaggio sono innestati i germi di un sottile razzismo che poi si insinua nel pensare e parlare della "gente comune". Questo è, per l'autore, l'operare del "razzismo dei colti". Ed è proprio da lì che si origina il senso e l'opinione che poi diventa convinzione assoluta di massa perché ammantata di una presunta oggettività, dei cosiddetti "dati di fatto".